Carissimi tutti – fratelli e figli di questa comunità della Bicocca – voglio, oggi, 19 marzo (2020), festa del papà, comunicarvi qualche pensiero. Per tanti – non certo per tutti! – ho l’età per essere papà e anche nonno, e perciò voglio far parlare il mio cuore di padre. Forse per tanti non è così evidente questa mia caratteristica, ma vi assicuro che il mio essere pastore ha, non solo ma soprattutto, il colore e il calore della paternità.
Sono ormai giorni e giorni che tutti stiamo vivendo questa forzata clausura. Il clima è surreale, l’atmosfera si è fatta pesante. Si sta facendo tanta ma tanta fatica a reggere la situazione. Non poter uscire per andare quando e dove si vuole, non poter avvicinare gli amici, essere impediti di una stretta di mano, di un abbraccio, di un bacio. Si sente, dolorosa, la morsa di una trappola per topi. Ci è chiesta tanta pazienza, in attesa di tempi migliori. E questa pazienza tutti noi tentiamo di averla. D’altra parte, pazienza deriva da patire, e perciò c’è sofferenza quando si deve essere pazienti: pretendere di pazientare senza soffrire è una contraddizione nella stessa parola.
Da cristiani c’è una sofferenza che si aggiunge: non poter partecipare alla Messa, non poter ricevere la Comunione, non poter pregare con la comunità, non poter celebrare i Sacramenti, dover portare i propri cari che muoiono al cimitero senza passare dalla chiesa, in attesa di poter portare in chiesa – chissà quando – le loro ceneri, che nel frattempo… aspettano.
Anche il parroco, abituato a stare in mezzo alla sua gente, a pregare con la sua gente, a celebrare con davanti la sua gente, sente questa grande sofferenza interiore. Ma che sta succedendo? viene da domandarsi, mi viene da domandarmi. Abituato da una vita ad una Quaresima bella e anche… faticosa, piena di Messe, Parola di Dio, Vie Crucis, omelie, catechesi, incontri, mi trovo praticamente chiuso tra casa e chiesa, in assenza quasi totale di relazioni interpersonali.
So che tanti miei confratelli hanno in parte sopperito a tutto questo con Messe e “cose” varie realizzate e trasmesse utilizzando gli strumenti della tecnologia moderna. Ma vi confesso che faccio troppa fatica a percorrere questa strada. Primo perché non sono troppo esperto nel campo, secondo perché, non essendo abituato, mi fa tristezza parlare in questo modo ai miei parrocchiani, terzo perché non mi pare il caso che si debba per forza vedere la mia faccia o sentire la mia voce per riuscire a vivere la preghiera in questo momento di congiuntura. Non presumo di essere così indispensabile!
E allora, quarto, le opportunità sono comunque davvero tante, quelle che permettono a ciascuno di non far spegnere la propria fede. Per quanto mi riguarda, cerco di non farvi mancare qualche briciola anche mia: la riflessione sul Vangelo della domenica, il foglio settimanale “Inviti e Proposte”, la chiesa aperta per la preghiera personale di adorazione, qualche richiamo a iniziative diocesane particolarmente rilevanti. Per il resto, vedo che televisione, radio, internet offrono una enorme quantità di momenti spirituali che, se seguiti, aiutano nel cammino quaresimale. Soprattutto i momenti con l’Arcivescovo sono di uno speciale spessore spirituale ed ecclesiale.
Ma, dentro questo grande disagio, mi chiedo se non ci sia qualcosa di buono. Si dice sempre che Dio sa scrivere diritto anche sulle righe storte. Oggi le righe sono proprio storte, ma proprio storte. Cerchiamo di scoprire che cosa Dio sta scrivendo su queste righe storte.
Certo, non voglio fare “l’interprete di Dio”! Non sono un profeta, sono un semplice pastore. Che però ha, almeno un pochino, imparato a “leggere la vita” e che perciò si permette di fare qualche riflessione. Riflessioni che non hanno certo la pretesa di essere “magistero” ma che rispecchiano ciò che anch’io sto vivendo e ciò che mi stimola il pensiero e la coscienza.
Sto imparando che niente è dato per scontato, niente è dovuto, niente è necessariamente gratuito. Pigiare il bottone e ottenere. Anche le cose più sacrosante (la Messa, i Sacramenti, la catechesi, ecc.), quelle che sembravano assolutamente un diritto, oggi non posso averle. Chi avrebbe mai detto che per settimane non saremmo potuti andare a Messa, quasi fossimo una tribù della foresta brasiliana? È così!
Sto imparando ad essere essenziale nelle mie pretese. Imparo a non uscire la sera per il cinema o la pizza; recupero i rapporti di amicizia nella loro profondità imparando a non fermarmi sulle sciocchezze che portano a litigare; imparo che il tempo speso per la mia famiglia è speso bene e mi accorgo che ne ho sempre speso troppo poco; imparo a non essere pretenzioso nel cibo perché magari qualche volta non riesco a fare la spesa come vorrei; imparo che lo star bene di salute non è per niente un diritto scontato ma un grande dono di Dio da custodire; imparo a vedere tutta la gente che si spende per gli altri fino al sacrificio di sé; imparo che la natura si ribella se non la rispettiamo.
Sto imparando a vedere il mio rapporto con Dio non alla luce delle mia modalità ma alla luce del “modo di Dio”. Imparo che la preghiera è un affare di cuore e non di “essere in un luogo”; imparo che la Parola di Dio mi raggiunge ovunque, senza bisogno di altro; imparo che il silenzio interiore porta grande frutto alla mia anima; imparo che Dio è davvero in ogni luogo, se lo so vedere e se lo voglio incontrare; imparo che per la mia fede tutto è utile ma niente è indispensabile, se miro davvero ad un rapporto con Dio che passi attraverso Gesù e il Vangelo.
Sto imparando che la Chiesa non è un erogatore di servizi religiosi ma una comunità che crede e che prega e che della quale io faccio parte e ne sono costruttore. Imparo a non dire più: ma la Chiesa dovrebbe…; imparo a non avere più delle uscite del tipo: ma non si potrebbe fare la Messa un dieci minuti più tardi?; imparo ad apprezzare quello che normalmente e abbondantemente ho dalla Chiesa e che molti altri nel mondo non hanno che in minima parte, normalmente e insufficientemente; imparo che dare del tempo per la costruzione della comunità è tentare di restituire a Dio quanto in abbondanza riceviamo; imparo ad amare la Chiesa, la comunità, i fratelli, i pastori, gli operatori, perché li ci vedo l’ossigeno per la mia vita, per la mia fede, e ce lo vedo proprio perché adesso mi sta arrivando in quantità troppo esigue.
Tanti escono da esperienze di sofferenza, spirituali o materiali, dicendo: sono stato tanto male, non mi auguro che capiti ancora, non lo auguro neanche al mio peggior nemico, ma… ho imparato tante cose, e le ho imparate perché, per grazia di Dio, sono riuscito a cogliere delle opportunità di crescita personale anche e proprio lì.
Dunque, se dico “coronavirus” dico: che Dio ce ne scampi e liberi, che tutto finisca al più presto. Ma dico anche: combatti, segui le regole, fai quello che ti è chiesto e nel contempo spera, fidati, credici e non perdere questa opportunità per… imparare.
Don Giuseppe